Nonostante la sua buona efficacia, Alemtuzumab ( Lemtrada ) è associato a eventi avversi potenzialmente pericolosi, che possono verificarsi mesi o anni dopo la sua somministrazione.
Subito dopo l'infusione di Alemtuzumab, i pazienti possono manifestare febbre, rash, cefalea, nausea, vomito e rigidità, fenomeni attribuiti al rilascio di citochine; inoltre sono stati segnalati aggravamenti precoci di pre-esistenti deficit che possono durare alcune ore e possono essere correlati ad un aumento improvviso del rilascio di TNF-alfa, IFN-gamma o interleuchina 6 ( IL-6 ). Inoltre è stato riportato un calo di CH50, indice dell'attivazione del complemento dopo la somministrazione di Alemtuzumab.
E' stato dimostrato che il pre-trattamento di pazienti con sclerosi multipla con corticosteroidi, Paracetamolo o Difenidramina può ridurre tale risposta infiammatoria.
Sebbene la terapia pulsata con Alemtuzumab nei pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente precoce sia significativamente efficace nella soppressione dell’attività della malattia, fino al 30% dei pazienti con sclerosi multipla può sviluppare patologie autoimmuni della tiroide, prevalentemente malattia di Graves, e più raramente autoimmunità nei confronti dei componenti del sangue.
E’ da notare che i pazienti affetti da tumore trattati con Alemtuzumab non sviluppano tiroidite autoimmune mentre questa complicanza è stata riportata in pazienti affetti da malattie immuno-mediate come la sclerosi multipla e la vasculite associata ad anticorpi antineutrofili citoplasmatici ( ANCA ) in pazienti trattati con Alemtuzumab.
Questa osservazione sottolinea il ruolo del sistema immunitario nello sviluppo della tiroidite autoimmune nella popolazione con sclerosi multipla.
Jones et al. ( J Clin Invest 2009 ) hanno dimostrato che un aumento della proliferazione dei linfociti e dell'apoptosi sono risposte generiche al trattamento con Alemtuzumab; tuttavia, l’autoimmunità secondaria si è presentata nei pazienti trattati con sclerosi multipla con i più alti livelli di apoptosi delle cellule T.
Dato che non vi erano differenze nei tassi di ricostituzione delle cellule T tra i due gruppi, gli Autori hanno dedotto che l'incremento del ciclo delle cellule T che si verifica nel gruppo autoimmune, fosse presumibilmente sostenuto dall’aumento dei livelli sierici di interleuchina 21 ( IL-21 ). Infatti, prima del trattamento con Alemtuzumab, i pazienti con livelli sierici di IL-21 due volte maggiori hanno sviluppato autoimmunità secondaria rispetto a quei pazienti che non hanno sviluppato tale complicanza.
Gli Autori hanno proposto che IL-21 rappresenti un indicatore di sviluppo di autoimmunità secondaria in seguito a terapia con Alemtuzumab. Hanno inoltre ipotizzato che IL-21 favorisca i cicli di espansione delle cellule T e l’apoptosi, che a loro volta aumentano la possibilità per le cellule T di incontrare l’autoantigene e di dare origine a reazioni autoimmuni.
La trombocitopenia idiopatica è l'altra complicanza che è stata osservata tra i pazienti con sclerosi multipla trattati con Alemtuzumab. E’ stato riscontrato un rischio di quasi il 3% di trombocitopenia idiopatica tra i pazienti affetti da sclerosi multipla.
Durante la sperimentazione clinica di Alemtuzumab per la sclerosi multipla, uno dei pazienti che ha sviluppato trombocitopenia idiopatica è morto a causa di emorragia cerebrale.
Inoltre, è stato riportato lo sviluppo di insufficienza renale dovuta alla sindrome di Goodpasture con l'utilizzo di Alemtuzumab nella sclerosi multipla.
Lo studio clinico di Alemtuzumab versus Interferone beta-1a ( IFN-beta1a; Rebif ) ha mostrato solo infezioni di entità da lieve a moderata, soprattutto del tratto respiratorio, che sono risultate più frequenti tra coloro che hanno ricevuto Alemtuzumab rispetto a quelli trattati con Interferone beta-1a.
Riguardo alle neoplasie susseguenti al trattamento con Alemtuzumab, sono stati segnalati 3 casi di tumori ( linfoma di Burkitt non-EBV-associato, tumore alla mammella e tumore della cervice in situ ) e 1 caso di melanoma. ( Xagena2010 )
Minagar A et al, Expert Opin Biol Ther 2010; 10: 421-429
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