I risultati dello studio ATACH-II hanno mostrato che un abbassamento della pressione arteriosa molto intenso e rapido non è correlato a migliori esiti, anzi può comportare problemi di sicurezza nei pazienti con emorragia intracerebrale ( ICH ) e alta pressione sistolica al basale.
A prima vista, i risultati dello studio ATACH-II sembrano essere in conflitto con quelli di uno studio simile, INTERACT2, che aveva indicato un beneficio dall’abbassamento della pressione arteriosa nei pazienti con emorragia intracerebrale.
Tuttavia ci sono alcune importanti differenze tra i due studi.
I pazienti nello studio INTERACT2 sono andati incontro a una moderata riduzione della pressione arteriosa, mentre i pazienti nel braccio intensivo di ATACH-II hanno presentato una maggiore e più rapida riduzione della pressione arteriosa.
Dopo emorragia intracerebrale si assiste a un aumento pressorio. L'alta pressione nei pazienti nelle fasi acute dell’emorragia intracerebrale porta all’espansione dell'ematoma nel cervello e a un maggior deterioramento neurologico e al decesso.
Un obiettivo di ricerca è stato quello di verificare se l’abbassamento della pressione sanguigna possa ridurre l'espansione dell'ematoma e ridurre la mortalità e l’invalidità.
Lo studio INTERACT2, riportato nel 2013, aveva indicato che l’abbassamento della pressione sanguigna era sicuro ed era emersa anche una indicazione di efficacia.
In ATACH-II, sono stati arruolati pazienti con pressione sistolica superiore a quella dei pazienti che avevano preso parte allo studio INTERACT2.
Obiettivo dello studio era verificare se l’abbassamento della pressione arteriosa in misura maggiore e più rapida potesse produrre un effetto maggiore.
Lo studio ATACH-II ha arruolato pazienti entro 4.5 ore dall’esordio della emorragia intracranica, con un punteggio alla scala GCS ( Glasgow Coma Scale ) di oltre 5, un volume dell'ematoma inferiore a 60 cm3, e pressione sistolica oltre 180 mmHg.
I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a una riduzione della pressione arteriosa con Nicardipina per via endovenosa per ottenere una pressione sistolica nel range da 140 a 179 mmHg ( terapia standard ) o da 110 a 139 mmHg ( riduzione pressoria intensiva ).
I ricercatori avevano in programma di arruolare 1280 pazienti, ma lo studio è stato interrotto prematuramente per inutilità dopo che 1000 pazienti erano stati arruolati ( 500 in ciascun gruppo ).
La pressione media sistolica è stata abbassata quasi fino a 110 mmHg nel gruppo intensivo contro quasi fino a 140 mmHg nel gruppo standard.
L'endpoint primario era la mortalità o l’invalidità ( punteggio alla scala Rankin modificata, 4-6 ) a 90 giorni.
L’endpoint è stato raggiunto nel 38.7% del gruppo intensivo versus 37.7% del gruppo standard, una differenza non-significativa ( rischio relativo aggiustato, aRR=1.04; IC 95%, 0.85-1.27; P = 0.72 ).
E’ apparso un effetto positivo sulla espansione dell’ematoma con la riduzione intensiva della pressione; il 18.9% del gruppo intensivo ha mostrato un aumento superiore al 33% nel volume dell’ematoma contro il 24.4% del gruppo standard ( RR=0.78; P = 0.08 ).
In termini di sicurezza, le reazioni avverse correlate al trattamento per le prime 72 ore si sono verificate nell’1.6% del gruppo intensivo e nell'1.2% del gruppo standard, una differenza non-significativa.
La grave ipotensione era anche poco frequente e non differiva tra i due gruppi.
Tuttavia, è stato riscontrato un aumento borderline significativo in ogni evento avverso grave nel corso dei 90 giorni dello studio con abbassamento intensivo della pressione arteriosa ( 25.6% vs 20%; RR=1.30; P = 0.05 ). ( Xagena2016 )
Fonte: European Stroke Organisation Conference ( ESOC ), 2016
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